La magia della terapia

Tratto da “La struttura della magia” Di Richard Bandler e John Grinder

Noi non operiamo direttamente sul mondo in cui viviamo, creiamo piuttosto modelli o mappe del mondo e li usiamo per la guida del nostro comportamento. Una terapia efficace implica un qualche cambiamento nel modo con cui il cliente rappresenta la propria esperienza.

I modi con i quali ciascuno di noi rappresenta il mondo costituiranno un insieme di interessi, abitudini, simpatie, antipatie e regole di comportamento che sono decisamente nostri. Le diversità delle nostre esperienze proveranno che ciascuno di noi ha un modello del mondo che in qualche modo sarà diverso dal modello del mondo di ogni altra persona.

Queste differenze dei nostri modelli possono essere sia tali da modificare le prescrizioni che riceviamo (dalla società) in modo da arricchire la nostra esperienza e offrirci più scelte, sia tali da impoverire la nostra esperienza in modo da limitare la nostra capacità di agire con efficacia[1].

Modelli e terapia           

Abbiamo constatato per esperienza che le persone vengono tipicamente in terapia soffrendo, con la sensazione di essere paralizzate, senza avvertire alcuna possibilità di scelta o libertà d’azione nella loro vita. Ciò che abbiamo scoperto non è che il mondo è troppo limitato o che non vi sono scelte, ma che costoro impediscono a se stessi di scorgere le opzioni e le possibilità che gli si dischiudono perché queste non sono disponibili nei loro modelli del mondo.

Nella nostra cultura quasi ogni essere umano ha nel proprio ciclo vitale un certo numero di periodi di cambiamento e transizione che deve superare. Per questi importanti punti critici di transizione forme di psicoterapia diverse hanno elaborato varie categorie. È caratteristico il fatto che alcune persone riescono a superare con poca difficoltà questi periodi di cambiamento, sperimentandoli come periodi di intensa energia e creatività. Altri invece, poste alla prova allo stesso modo, li sperimentano come periodi di timore e sofferenza: periodi che vanno sopportati quando la loro principale preoccupazione è la semplice sopravvivenza. A noi sembra che la differenza tra i due gruppi sia essenzialmente questa: coloro che reagiscono a questo stress in maniera creativa e lo affrontano con efficacia sono individui che hanno una rappresentazione, un modello, ricca della propria situazione, una rappresentazione in cui percepiscono un’ampia gamma di opzioni nella scelta delle proprie azioni. Gli altri sperimentano se stessi come individui con poche opzioni, nessuna delle quali appare allettante ai loro occhi: il gioco di “chi nasce perdente”. La domanda che ci poniamo è questa: com’è possibile che esseri umani diversi, posti di fronte allo stesso mondo, abbiano esperienze tanto differenti? La nostra opzione è che questa diversità sia principalmente il risultato della differenza di ricchezza dei loro modelli. La domanda diventa allora: com’è possibile che degli esseri umani si attengano a un modello immiserito che li fa soffrire di fronte un mondo polivalente, ricco e complesso?

Mentre giungevamo capire perché mai alcune persone si procurino pene e tormenti, è stato molto importante renderci conto che esse non sono né cattive né pazze né malate. In effetti costoro operano le migliori scelte di cui possono disporre del loro particolare modello. In altre parole, il comportamento degli esseri umani, per quanto bizzarro possa sembrare a prima vista, ha un senso se lo si vede nel contesto delle scelte generate dal loro modello. La difficoltà non sta nel fatto che essi effettuano una scelta sbagliata, ma che non hanno abbastanza scelte: non hanno un’immagine del mondo messa a fuoco con ricchezza. Il paradosso più diffuso che scorgiamo nella condizione umana è questo: i processi che ci permettono di sopravvivere, crescere, cambiare e provare gioia sono gli stessi processi che ci permettono di mantenere un modello del mondo impoverito: la nostra capacità di azionare dei simboli, cioè di creare dei modelli. Sicché i processi che ci permettono di svolgere le più straordinarie ed eccezionali attività umane sono gli stessi processi che bloccano la nostra crescita ulteriore se commettiamo l’errore di confondere il modello con la realtà. Possiamo individuare tre meccanismi generali con i quali lo facciamo: la generalizzazione, la cancellazione e la deformazione.

La generalizzazione è il procedimento con il quale elementi o parti del modello di una persona vengono staccati dalla loro esperienza originaria e giungono a rappresentare l’intera categoria di cui l’esperienza è un esempio. La nostra capacità di generalizzare è essenziale per affrontare il mondo. Per esempio, ci è utile sapere generalizzare dall’esperienza di una bruciatura al contatto con una stufa rovente la regola che le stufe roventi non vanno toccate. Ma se generalizziamo quest’esperienza sino la percezione che le stufe sono pericolose, e ci rifiutiamo quindi di stare in una stanza con la stufa, limitiamo senza alcuna necessità il nostro movimento nel mondo.

Ecco il punto: la stessa regola sarà utile o no a seconda del contesto; ossia non vi sono generalizzazioni giuste ma ciascun modello deve essere valutato nel suo contesto.

Un secondo meccanismo che possiamo usare sia per far fronte alle nostre difficoltà sia per annientarci è la cancellazione. La cancellazione è un procedimento con cui, selettivamente, prestiamo attenzione a certe dimensioni della nostra esperienza e ne escludiamo altre. Prendiamo, per esempio, la capacità di filtrare o escludere ogni altro suono, in una stanza piena di gente che parla, per ascoltare solo la voce di una data persona. Con lo stesso procedimento possiamo impedire alla stessa di dire messaggi di affetto. Per esempio, un uomo convinto di non essere degno di affetto si lamentò con noi perché la moglie non gli inviava mai messaggi affettuosi. Quando fummo casa sua ci rendemmo conto che in realtà la moglie glieli mandava, ma siccome entravano in conflitto con il suo concetto di sé, frutto di una generalizzazione, egli letteralmente non li sentiva. Lo verificammo quando, richiamando la sua attenzione su alcuni di tali messaggi, egli asserì di non aver mai udito la moglie di dire cose del genere.

La cancellazione riduce il mondo a proporzioni che ci sentiamo in grado di maneggiare. Questa riduzione può essere utile in alcuni contesti ma può essere fonte di sofferenza in altri.

Il terzo procedimento di modellamento è la deformazione. La deformazione è il procedimento che ci permette di operare cambiamenti nella nostra esperienza dei dati sensoriali. La fantasia, per esempio, ci permette di prepararci in anticipo a esperienze possibili. Mentre facciamo le prove di un discorso che terremo più tardi, noi stiamo deformando la realtà attuale. È il procedimento che ha reso possibili tutte le creazioni artistiche dell’uomo. Van Gogh ha potuto dipingere quei cieli solo perché era in grado di deformare la propria percezione spazio-temporale al momento della creazione. Similmente ogni grande romanzo ogni scoperta rivoluzionaria della scienza implica la capacità di deformare e snaturare la realtà attuale. Con la stessa tecnica si può limitare la ricchezza della propria esperienza. Un individuo che in qualche periodo della vita sia stato respinto opera la generalizzazione di non essere degno d’affetto. Siccome nel suo modello c’è questa generalizzazione, egli cancella i messaggi d’affetto oppure li reinterpreta come insinceri. Non accorgendosi di alcun messaggio affettuoso riesce ad attenersi alla generalizzazione di non essere degno d’affetto. Questa descrizione è un esempio classico di feedback positivo: la profezia che si auto realizzata. Le generalizzazioni o aspettative di un individuo ne filtrano e deformano l’esperienza per renderla conforme alle aspettative stesse. Ma dato che non fa esperienze non conformi alle sue generalizzazioni, le aspettative ne risultano rafforzate e il ciclo continua. In questo modo la gente mantiene i propri modelli impoveriti del mondo.

È solo con difficoltà e con forte resistenza che il nuovo emerge da uno sfondo costituito dall’aspettativa.

E allora?

I terapeuti in grado di compiere la “magia della terapia” provengono da vari approcci alla psicoterapia e usano tecniche che sembrano enormemente diverse. Tuttavia, pur essendo differenti, le loro tecniche hanno una cosa in comune: esse introducono nei modelli dei clienti cambiamenti che consentono a costoro opzioni di comportamento. Vediamo che ciascuno di questi “maghi” ha una mappa o modello per cambiare i modelli del mondo dei propri clienti; essi hanno, cioè, un metamodello che gli permette di ampliare ed arricchire efficacemente i modelli altrui in modo da rendere la vita più ricca e degna di essere vissuta.

In tutte le forme di terapia quando abbiano successo, vi è sempre un aspetto comune: le persone cambiano in qualche modo. Il cambiamento riceve nomi diversi a seconda delle diverse scuole terapeutiche: consolidamento, guarigione, crescita, illuminazione, modificazione del comportamento, eccetera. Quale che sia il nome dato al fenomeno, in qualche modo esso rende l’esperienza dell’individuo più ricca e migliore. Quando la gente cambia ha un’esperienza e un modello del mondo diversi. Indipendentemente dalle loro tecniche, le diverse forme di terapia danno alla gente la possibilità di cambiare il proprio modello del mondo e alcune rinnovano in parte tale modello.

I clienti cominciano il processo di scoperta di sé, e cambiano, quando cominciano a lavorare per inserire i brani mancanti e diventano attivamente partecipi di questo stesso processo: si espandono espandendo il loro modello del mondo.

Il terapeuta ha il compito di aiutare il cliente a vedere come ciò che egli ha rappresentato nel suo modello come un evento chiuso, finito, sia un processo in corso sul quale egli stesso può influire.

Il passo successivo è la sollecitazione di tale struttura in una forma che consenta di arricchirla. A questo punto il terapeuta ha molte scelte. Il principio fondamentale da tener presente è che la gente soffre non perché il mondo non sia abbastanza ricco da soddisfare i suoi bisogni, ma perché ha una rappresentazione del mondo impoverita. Di conseguenza noi terapeuti adottiamo la strategia di rimettere il cliente in contatto con il mondo in una forma che gli offra un più ricco insieme di scelte. In altre parole, poiché il cliente soffre perché ha creato una rappresentazione impoverita nel mondo e ha dimenticato che la rappresentazione non è il mondo, il terapeuta lo assisterà nel cambiamento proprio per farlo giungere al comportamento in qualche modo non conforme al suo modello, con il risultato di arricchire il modello stesso.

Sono molte le tecniche di cui terapeuta può disporre per assistere il cliente nel recupero di parte della sua esperienza che egli non aveva rappresentato il suo modello. Per esempio, nel campo della combinazione di tecniche verbali tecniche non verbali si potrebbe chiedere al cliente di recitare la specifica situazione alla quale egli aveva generalizzato e di descrivere la sua esperienza del mondo completo in cui la rivive, presentando così la parte dell’esperienza stessa di cui prima non era stato in grado di dare una rappresentazione linguistica.

Riepilogo

La terapia riuscita indipendentemente dalla sua forma, comporta un cambiamento del modello del mondo dei clienti che li mette in grado di avere più scelte del loro comportamento. I metodi che abbiamo presentato nel metamodello sono efficaci per l’arricchimento del loro modello del mondo, e ciò implica che qualche aspetto di tale modello sia nuovo. È importante che questa nuova parte del modello venga saldamente collegata alla loro esperienza. Per ottenere ciò occorre che i clienti effettuino realmente le loro nuove scelte, le pratichino, acquistino dimestichezza con esse, ne facciano esperienza. A questo fine i terapeuti hanno per lo più messo a fuoco varie tecniche specifiche: per esempio, lo psicodramma, il lavoro da svolgere in casa, compiti vari, eccetera. Tali tecniche hanno lo scopo di integrare nell’esperienza del cliente il nuovo aspetto del suo modello.


[1] Con conseguente ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, crisi esistenziali, bassa autostima, disturbi psicosomatici, isolamento sociale ecc. NdR

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